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Il progetto

È un problema mio


"State attente", "Scappa al primo schiaffo": quante volte le donne sentono ripetersi queste frasi, nella vita? È giusto, è sacrosanto ma il messaggio, già di per sé, comunica un senso di “ineluttabilità” (può succedere…) quando non una forma di “attribuzione di colpa” alla donna “che non è stata attenta”, che “non è fuggita al primo schiaffo” (senso di colpa e vergogna che del resto tante donne sentono in tutta la loro pienezza senza bisogno che qualcuno glielo ricordi). 
Si parla sempre della violenza di genere come se fosse un problema delle donne (non è un caso che nei consessi un cui se ne parla ci siano sempre troppe donne e solo qualche uomo, di solito di rappresentanza). Sicuramente lo diventa in quanto problema PER le donne.

E l’altra parte?


L’uomo a cui occorre stare attente, quello che ha tirato il primo schiaffo? 
È lui il problema? Certamente in parte sì (la responsabilità individuale conta!) ma probabilmente non è neanche solo lui il “colpevole”, figlio di una cultura quantomeno “miope”, se non maschilista. Il progetto integrato, non incentrato sul concetto di “colpa” ma di “responsabilità”, mira ad attivare una riflessione personale da parte delle giovani e dei giovani e della comunità tutta perché la risposta sia “E’ un problema mio”.

Gli obiettivi del progetto

Cambiare cultura significa cambiare sguardi, linguaggi, relazioni.

Il progetto È un problema mio lavora su più livelli — educativo, comunicativo, sociale — per stimolare una riflessione collettiva su cosa alimenta la violenza di genere e su come possiamo contrastarla nella vita di ogni giorno.

Questi sono gli obiettivi che guidano il nostro percorso.

Far comprendere a madri, padri e futuri genitori quanto influiscano — spesso senza accorgersene — nella costruzione degli stereotipi di genere, fin dalla più tenera età. Attraverso momenti di confronto e strumenti pratici, vogliamo offrire spunti di riflessione sui modelli comportamentali, sull’interazione familiare e sulla relazione genitoriale, affinché la parità cominci in casa.


Portare il tema della violenza sulle donne in contesti a prevalenza maschile — come i dipartimenti universitari scientifici e tecnologici, o gli istituti tecnici — non per “dissuadere il carnefice”, ma per aprire un dialogo.
L’obiettivo è mostrare in quanti modi, anche inconsapevoli, si possa essere violenti, e quanto questa responsabilità appartenga a tutti.

Aumentare la consapevolezza delle ragazze rispetto alle molte forme di violenza: non solo quella fisica, ma anche la violenza economica, psicologica e le molestie. Rafforzare la conoscenza dei servizi e degli strumenti normativi a tutela delle donne, affinché nessuna si senta sola o senza alternative.

Favorire la partecipazione attiva delle nuove generazioni nelle attività di contrasto alla violenza di genere, con iniziative diverse a seconda dell’età e del contesto.Perché il cambiamento culturale passa soprattutto da chi sta costruendo il proprio modo di stare al mondo.

Dalla contaminazione tra il lavoro delle associazioni partner e le idee emerse nei laboratori con ragazze e ragazzi, nascerà una campagna regionale di comunicazione riconoscibile nel tempo.
Una campagna che parli un linguaggio nuovo e inclusivo, capace di rappresentare la complessità dei vissuti e delle relazioni.

Combattere l’immagine riduttiva della violenza di genere come “solo fisica” o “solo contro donne giovani con lividi sul volto”.
Raccontare le molte forme, visibili e invisibili, che la violenza assume, e diffondere informazioni sugli strumenti di aiuto e sui centri antiviolenza presenti sul territorio.

Favorire la partecipazione attiva delle nuove generazioni nelle attività di contrasto alla violenza di genere, con iniziative diverse a seconda dell’età e del contesto.
Perché il cambiamento culturale passa soprattutto da chi sta costruendo il proprio modo di stare al mondo.